Mosaico napoletano

di Marta Compagnone

Titolo: Mosaico napoletano
Autore: Daniela Carelli
Editore: Segmenti editore
Anno: 2018
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copertina-mosaicoBentrovati amici di Legenda Letteraria!

È trascorso molto tempo dall’ultimo post pubblicato sul blog, prima di un lungo letargo un po’ forzato dagli impegni professionali e personali che hanno assorbito e continuano ad assorbire molto tempo. Ma l’arrivo della primavera ha un po’ smorzato questa “letargia” invernale, risvegliando la grande voglia di leggere e scrivere che non si è mai sopita del tutto, ma è rimasta a ruggire dentro, alla stregua dello “spirto guerriero” di foscoliana memoria.

Imbattersi nel libro giusto, questo il segreto. E proprio come una leggera brezza di primavera, le pagine di Mosaico napoletano, ultima opera della scrittrice partenopea Daniela Carelli (Segmenti editore), hanno accarezzato questi assolati pomeriggi d’aprile. Il protagonista del romanzo è Giuseppe che Napoli, a guisa di sirena, riconduce in città  seducendolo col suo irresistibile canto ed in virtù del suo ritorno il protagonista si trova quasi costretto a ricomporre i tasselli del suo passato, ciascuno dei quali ha diverse gradazioni cromatiche, che si richiamano ad eventi felici e tristi, gioiosi e dolorosi della sua vita.

Dunque Giuseppe, per assemblare il mosaico dei suoi anni passati, deve doverosamente scavare nei suoi ricordi, per realizzare un viaggio dentro se stesso, un percorso dolce – amaro, in cui “miele e fiele” si alternano, si mescolano e talora combaciano, un cammino interiore intimamente connesso a Napoli che, come già accaduto nel precedente romanzo della Carelli, non è semplicemente lo sfondo in cui si succedono gli eventi che riguardano il protagonista, ma l’eco ammaliante di Partenope, la voce della coscienza e del cuore di Giuseppe, ma soprattutto la consapevolezza di non essere mai soli perché Napoli, come ogni paese d’origine – parafrasando il Pavese de La luna e i falòanche quando non ci sei resta ad aspettarti.

Il libro, a mio avviso, ha tre punti di forza: il primo è nella sua stessa costruzione perché nel ripercorrere gli eventi salienti della storia personale del protagonista, restituisce la storia di un’intera città, in un crescendo di emozioni e con colpi di scena del tutto inaspettati, a riprova della natura problematica della vita ma anche di Napoli, a tratti matrigna, ma che sa e può svelare i tratti delicati e dolci di madre premurosa, capace di parlare e di raccontarsi attraverso la musica di Pino Daniele, uno degli interpreti più fedeli delle sue mille anime, dei suoi mille culure, che ha saputo  restituire attraverso la poesia insuperata ed insuperabile delle sue canzoni.

Il secondo punto forte è la scrittura di Daniela Carelli, che, da degna figlia di Partenope, ha un tratto decisamente rapsodico nel raccontare  Napoli, mai solo come luogo fisico ma come luogo dell’anima, a cui si lega il concetto di napoletanità, che è un modo di sentire, una sensibilità particolare,  una profonda saggezza ma anche una disincantata amarezza che trova la sua massima forma d’espressione nella lingua, in cui si condensa l’essenza, la filosofia di un intero popolo e che ricorre in alcune parti della narrazione, conferendole, a seconda della situazione, maggiore drammaticità o una più intensa comicità,  un richiamo ipnotico, che porta il lettore a macinare una pagina dietro l’altra.

In ultima istanza, la parte più bella del libro appartiene alla grande capacità della Carelli di parlare del dolore, attraverso le vicende di Giuseppe, non come un qualcosa da cui fuggire o da evitare, rinnegare e schiacciare, ma come un nuovo punto di partenza, un modo per ritrovarsi e risalire la china: il protagonista, con cui la vita non è stata parca di eventi tristi, come prima reazione naturale e sicuramente umana, prova ad alienarsi, rifugiandosi dietro lo schermo del “mai più”, rifiutando e rinnegando tutto ciò che possa regalargli un momento di distensione, che non riesce mai a trovare, se non andando via da Napoli, scappando dai ricordi troppo dolorosi che sembrano annidarsi in ogni angolo della sua città. Fino a quando gli echi di Partenope non lo riportano indietro, per svelargli l’inutilità di rinnegare il loro rapporto viscerale e per trasformare il suo dolore in qualcos’altro, realizzando quel cammino di resilienza che lo avrebbe, finalmente, condotto alla serenità.

Daniela

La mano sapiente della Carelli ha fatto di Mosaico napoletano una canzone di redenzione, a più voci, dove note nostalgiche, dolorose, felici, tristi, gioiose si mescolano, determinando tante variazioni di toni che, come un monito, ci ricordano che è l’equilibrio degli opposti che governa la nostra vita, e che spesso ciò che è dolore in potenza può diventare felicità in atto. Nessuna città al mondo, meglio di Napoli, può offrirne migliore testimonianza perché alla sua bellezza salvifica si oppone il cancro venefico della criminalità organizzata, alla musicalità delle sue strade, della sua lingua, al canto del suo mare meraviglioso fa eco il silenzio assordante delle istituzioni, alla grandiosità dei suoi monumenti e alla centralità della sua storia millenaria fa da contraltare l’abbandono delle periferie. Ed è impensabile rinnegare anche una sola delle tessere che compongono questo suo articolato mosaico, proprio come accade per le tessere musive della vita di Giuseppe: infatti accanto a quelle che hanno gradazioni cromatiche poco gradevoli, è sempre possibile trovare tessere dalle sfumature meravigliose,  in grado di  risaltare maggiormente, che richiedono lo sforzo di saperle individuare, apprezzare e valorizzare: è solo nella sua decisa volontà di accettare ed amare tutte le tessere del complicato mosaico chiamato vita che si realizza il suo affrancamento dal dolore, un dolore che smette di essere catena per diventare, finalmente, catarsi.

Di’ pure quel che pensi