Il libro 13 donne a tavola, con la prefazione dell’autrice già nota al nostro blog, Loredana Limone, come si può intuire dal titolo, si compone di 13 “appetitosi” microcosmi letterari che formano un macrocosmo costellato di invitanti spunti narrativi serviti con gustose ricette culinarie che suggellano la conclusione di ciascuno di essi, quasi ad invitare lettori e lettrici a cimentarsi ai fornelli, omaggiando la lettura dei racconti con una sinestesia di gradevoli sapori, allo scopo di nutrire mente e ventre. Del resto anche Feuerbach asseriva che l’uomo è ciò che mangia, sottolineando l’intimo connubio tra corpo e spirito: se il corpo è appagato di conseguenza anche lo spirito risulta appagato.
Ogni racconto, con uno stile particolare ed al tempo stesso scorrevole offre, insomma, una prospettiva diversa sullo stesso tema senza mai ripetersi, inducendo inoltre a pensare al cibo ed alla sua infinita varietas non solo come un vademecum emotivo-sentimentale in grado di apportare benefici a cuore e spirito, ma anche come un momento di creatività, di distensione e di massima libertà. Il cibo è vita, la nostra vita, non solo perché da esso si attinge l’energia per condurre la quotidianità ma anche perché accompagna la nostra persona nello svolgersi di questa quotidianità; è un rituale giornaliero a cui non bisognerebbe mai approcciarsi con sufficienza o solo per abitudine e fame.

Loredana Limone autrice della saga di Borgo Propizio
Mangiare è molto di più ed è quello che emerge da queste piccole tredici perline letterarie: bisogna mangiare per gioire, per curare le ferite del corpo e dello spirito, per amare noi stessi e per coccolare chi vogliamo bene, per celebrare la vita in ogni suo momento, per omaggiare il ricordo di chi non abbiamo più con noi e che ci ha lasciato come testamento affettivo i suoi miracoli culinari. Mangiare dunque non è semplicemente esistere, mangiare è vivere. Dopo la lettura del libro si potrebbe approdare, dunque, ad una conclusione diversa rispetto al cogito ergo sum professata dal mantra cartesiano, che forse condividerebbe Feuerbach: edo ergo sum.
Il tema sotteso ad ognuna di queste monadi letterarie è, appunto, il cibo, fil rouge dell’intero libro, anzi protagonista assoluto, perché più che riconoscerne l’importanza a fini prettamente alimentari per il sostentamento dell’uomo e per lo svolgimento delle sue attività, viene quasi celebrato come alleato della quotidianità: i suoi poteri magici contro la pesantezza di certe situazioni e l’arroganza di alcune persone sono esaltati nel racconto di Annarita Sabbatini, il cui protagonista Oscar deroga alle la missione di annientare la prepotenza di un suo amichetto di classe, un vero bullo, anche se poi alla fine deciderà di utilizzarle nel modo più corretto che conosce, ripiegando sull’amicizia con il suo “rivale”.
Il cibo può rivelarsi un prezioso alleato anche nelle faccende di cuore: la dolce Alice, nel racconto di Laura Bonaulmi con Elena Chigiotti affiderà a delle gustose fettine di pane a forma di pesce con burro e zucchero il suo messaggio d’amore per il compagno di classe dagli occhi color del mare, Joao. Inoltre può essere utile ad affinare l’intuito di una donna di fronte ad un corteggiatore che si potrebbe stimare, inizialmente, niente male ma il cui modo di mangiare, di assaporare i cibi può, successivamente, smentire l’idea positiva che ci si costruisce forse precocemente; ed è questo il motivo che pregiudica la nascita di un giovane amore come ci narra l’autrice Cecilia Fraccon nelle sue pagine di diario “ho pensato che mai avrei potuto unirmi ad un uomo che forse ama come mangia: talmente in fretta da rovinare tutto il piacere”.
Il cibo è anche compagno imprescindibile di momenti tristi, come nel tenero racconto di Roberta Schira narrato in prima persona dal frigorifero, innamorato perso della sua padrona, che dopo una cocente delusione d’amore, comincia a rimpinzarsi durante la notte di qualsiasi cosa di commestibile trovi in giro per la cucina, per placare quella fame d’amore che da quando il suo uomo l’ha lasciata non conosce sazietà; ma il suo odore può accompagnare anche momenti sgradevoli della vita di una persona, imprimendosi nella mente e riuscendo insopportabile proprio perché evoca il peso della situazione che si vive come accade alla povera Theresa, protagonista del racconto di Paola Monguzzi, rapita da un uomo folle, cresciuto nel mito della madre psicopatica ed alcolizzata che spesso abusava di lui e del cibo preferito della donna, quelle ciliegie al liquore il cui odore è diventato una sorta di colonna sonora della prigionia di Theresa.
Il cibo è sicuramente anche compagno di momenti felici: non c’è modo migliore di manifestare gioia all’arrivo di un proprio caro che preparargli un pasto speciale, così come accade nel racconto di Cristina Riva, la cui protagonista per “celebrare” il ritorno del suo informatico prepara un banchetto di tutto punto a base di ravioli, salvo poi gettarlo in pasto ai gatti quando scopre che questo ritorno cela una poco gradita “sorpresa”, che si rivelerà con le dovute spiegazioni una gradita sorpresa solo nel finale.
La sua funzione di medicina dell’animo e di evocatore, mediante odori e sapori, di memorie involontarie di scuola proustiana è messa in rilievo nel racconto di Laura Rangoni, dove il cibo diventa condizione necessaria perché si instauri quella celeste corrispondenza di amorosi sensi tra l’autrice e la nonna defunta: la ricetta del ragù, preparata e poi gustata dopo la dipartita dell’anziana donna, reca, infatti, all’animo della nipote la felice consapevolezza che “la nonna non era morta, non del tutto”. E non sarebbe morta fino a quando lei sarebbe stata in grado di ripetere il miracolo di quel ragù.
Il potere curativo del cibo si scopre indispensabile anche per le forme di vita extraterrestre, presenti in qualità di visitatori sul pianeta Terra, come rivela il simpatico racconto di Elena Chigiotti con protagonisti Jack, un ET che necessita degli alimenti terrestri per curarsi e la piccola Ginevra che, dopo aver aiutato l’amico a tornare in forma, lo inizia al piacere del gusto donandogli una fetta di torta sacher preparata dal papà per il suo compleanno. Per cui l’extraterrestre scoprirà la magia curativa che una fetta di dolce può apportare non tanto al fisico ma all’animo.
Il suo potere ammaliante e talora peccaminoso, grazie alla capacità combinatoria degli alimenti, trova, invece, spazio nel racconto di Francesca Viganò, in cui tre sorelle inducono, con la loro cucina, nobildonne e nobiluomini ad indugiare nel peccato della gola. Pertanto sono accusate di stregoneria e murate vive, come scoprirà dopo un allucinante pasto, il povero protagonista Angus McArthur. Rimanendo sul versante “peccaminoso”, con Betti Magni il cibo si unisce al sesso, in un fatale connubio, costringendo i protagonisti del racconto, un marito cuoco e la moglie Arianna che, per aiutarlo con le tasse, conduce una parallela attività di piaceri privati, ad occultare la prova del misfatto, riutilizzando il cadavere del cliente della moglie, caduto vittima di quello stesso piacere di cui andava alla ricerca, in maniera insolita, proponendolo in maniera tale da colpire il gusto di un giornalista di un famoso quotidiano nazionale che recensirà in maniera superba il suo stufato all’aroma di cioccolato.
Il cibo può dare luogo anche ad interessanti valutazioni di natura storico-artistica come si legge nel racconto di Valeria Palumbo e che vengono ispirate alla protagonista dalla visione del quadro di Fra’ Lippi che raffigura il banchetto di Erode dominato dalla figura di Salomè con la testa di Giovanni il Battista su un vassoio d’argento. Per tale motivo da’ il via ad una sua personale indagine sia per cercare di capire cosa potessero mangiare gli invitati al banchetto di un siffatto sovrano sia per soddisfare la curiosità delle sue veterane allieve del corso di arte, le cui domande più che sulle tecniche pittoriche avrebbero sicuramente teso al cibo, approdando ad una originale soluzione.

Erica Bauermeister
Nel racconto di Erica Bauermeister viene concepito come una sorta di speculum scripturae in quanto l’autrice riesce ad accostare la magica libertà con cui si combinano gli alimenti a quella con cui un autore può combinare le parole, creando ardite metafore, ignorando talvolta l’ossessione per le regole e lasciandosi guidare dal proprio estro e dal proprio istinto; perciò conclude che cucinare è un po’ come scrivere: riesce meglio quando si “lasciano perdere le ricette”.
Ed infine il cibo può essere ed offrire un’occasione per cambiare la propria vita, come raccontato da Loredana Limone nel racconto che chiude il libro: Ofelia che lavora duramente in un hotel per sbarcare il lunario, coglie al volo la proposta un po’ ardita di un uomo facoltoso, cliente dell’hotel, con cui ha una turbolenta conoscenza iniziale che poi si rivelerà il suo lasciapassare per la vita che aveva sempre voluto vivere: stringeranno una profonda amicizia, che li condurrà grazie alla passione comune per il cibo, verso la realizzazione professionale ed esistenziale alle Bahamas.