11 – Refrattario – Gli EXEMPLA di Legenda

Di Fedele Menale 

Cari Lettori e lettrici ben tornati alla nostra rubrica Gli EXEMPLA di Legenda. Il termine di cui andiamo a occuparci oggi è un aggettivo poco o mediamente usato nella nostra lingua italiana, e si tratta di refrattario.

Secondo quella che è la definizione dell’ormai celeberrimo vocabolario on line Treccani.it: refrattario indica qualcosa o qualcuno di insensibile, di resistente a determinati sentimenti o a comportamenti, essere per esempio refrattario alla pietà o all’amore. Viene utilizzato molto anche nella sua accezione scherzosa o ironica rispetto a determinate categorie codificate, del tipo: essere refrattario al matrimonio, al lavoro, allo studio e così via.

L’esempio di cui andiamo a parlare è tratto da uno scritto di Carlo Levi, che scrive: «il prefetto era un vecchio nobile, rotto a tutti i possibili regimi, refrattario a qualunque moto di entusiasmo». Secondo poi quella che è l’accezione un po’ più figurale, che però richiama a quella più materiale, refrattario è anche colui che non si sottomette a un’autorità, a una legge e che non intende ottemperare a doveri e obblighi. Quindi un aggettivo che porta in sé il senso del diniego, e del rifiuto.

Secondo quella che è l’etimologia appunto tratta dal dizionario etimologico Pianigiani al portale Etimo.it, questo aggettivo deriva da un aggettivo latino di prima classe, REFRACTARIUS REFRACTARIA REFRACTARIUM che significa per l’appunto restio, ribelle, e a sua volta in quanto aggettivo prende le mosse da REFRACTUS un participio passato del verbo REFRINGERE che appunto significa rintuzzare, e ribattere.

Per quanto riguarda quello che è l’esempio relativo alla nostra cultura e letteratura italiana, la ricorrenza in questione si evince nello straordinario e celeberrimo componimento di Giuseppe Ungaretti Sono una creatura datato 1916. Questa poesia ha una gestazione un po’ particolare, scritta al fronte come quasi tutti i componimenti di Ungaretti e inserita da prima nella raccolta Il porto sepolto datata 1916 e poi riconfluita nella raccolta L’allegria pubblicata da prima col titolo Allegria dei naufragi nel 1919, uscita in pochissime copie. Ulteriori modifiche di questa raccolta poi si attestano nel 1931, quando ormai il titolo della raccolta è solo L’allegria, e da questo momento Ungaretti non smetterà mai di rimaneggiare e di modificare il suo volume, fino poi all’edizione ultima datata 1969, che appunto non cambia nel titolo e nella struttura e che rappresenta l’ultima rimaneggiamento poiché si tratta dell’anno precedente a quello della morte del poeta.

Il componimento, che è tipico della poetica Ungarettiana, si avvicina e ne richiama un altro per struttura e per tematica: Veglia. Come si diceva non solo per il tema e per l’ambientazione che è stata collocata nei mesi della prima Guerra mondiale, al fronte, ma anche per delle scelte tipicamente ungarettiane, ovvero i versi spezzati e senza punteggiatura, e, diciamo, l’uso della parola nuda, quella parola altamente significativa, e che in realtà sta bene anche da sola, e dà  molte volte il senso della poetica di Ungaretti. Altre condizioni quali una progressione sintattica, oppure una ricerca molto scrupolosa della parola con isolamento di alcuni lemmi rendono questo componimento molto tecnico e assolutamente affine a quella che è l’espressività di Ungaretti. La ricorrenza in questione è attestata al v. 6  nella sua accezione di genere femminile e numero singolare.

Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916

Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata.
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede.
La morte
si sconta
vivendo

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